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Le lettere, in ordine di tempo, di alcuni partecipanti che,

alla fine del percorso, hanno risposto alla domanda "Cosa ti è successo?"

Cosa ti è successo?

Luca Nicosia

Inizio subito trasgredendo la tua regola, perché questa lettera non può che avere come filo conduttore la gratitudine. Punto. Ora, nella speranza di poter esprimere bene quanto questo percorso abbia significato per me, devo confessare che quando ho varcato la soglia del tuo studio per la prima volta, ero scettico, non sapevo cosa aspettarmi. Sommerso da emozioni e pensieri confusi, senza una direzione chiara. Mi sentivo davvero perduto, ero a pezzi. Non era la prima volta che mi rivolgevo a un professionista della salute mentale e mi ha sorpreso molto quando, invece, hai dichiarato che non eri uno psicologo ma un educatore. Non sapevo cosa aspettarmi. Tutti gli altri incontri avevano tamponato il problema ma poi, immancabilmente, tornava a manifestarsi dopo qualche tempo. Invece è accaduto che qualcosa è cambiato davvero. Ho imparato a conoscere me stesso in modi che non avrei mai immaginato. Mi hai aiutato a guardare le cose concrete, tirando fuori ciò che giaceva nascosto e esplorando le radici dei miei problemi. Se devo individuare una cosa precisa credo sia stata proprio la concretezza del tuo modo di affrontare il dolore insieme alla capacito di raccontarlo ogni volta in modo che non sembrasse più tale. Uscivo dalle nostre sedute rinfrancato e con la voglia di provare cià che mi avevi dato come compito. Questa doppia spinta credo abbia agito come un catalizzatore per la mia trasformazione interiore, spingendomi a esplorare nuovi modi di pensare e di agire. Ma quel che ha reso forse più unico che raro il nostro percorso è stata la tua capacità di farlo sempre con un sorriso, anche nei momenti più difficili. Un sorriso che non era svalutazione o semplificazione ma un segno tangibile di empatia e compassione. È stato come se quel sorriso avesse il potere magico di dissolvere le mie paure e le mie ansie, trasformando la stanza in un luogo di calma e accettazione. Non mi era mai successo nei miei precedenti percorsi, tutti molto "seriosi", senza allegria.  Credo che questo sorriso, insieme agli esercizi e alle tue parole, mi abbia insegnato a vedere il mio dolore sotto una luce diversa. Non più come un peso insopportabile da sopportare, ma come un'opportunità di crescita e trasformazione.

Mara Pirra

Cosa mi è successo, cosa mi ha cambiato lungo questo percorso? No ho dubbi. Sono successe tante cose, ma una su tutte, quelle che credo abbia dato il via a tutte le altre: ho smesso di giudicare e di giudicarmi. Ovviamente non è successo da un momento all’altro, ma settimana dopo settimana gli esercizi che Massimo mi dava mi obbligavano a cambiare modo di fare le cose. I primi tempi facevo fatica, spesso non facevo gli esercizi. Massimo mi diceva, come provocazione, che non ero obbligata a cambiare ma che, se ero lì, se andavo tutte le settimane da lui, dovevo dare un senso a quello sforzo, che non bastava parlare, che dovevano dare “fisicità al cambiamento”. Questa definizione mi colpì molto. Massimo la riportò insieme ad una citazione dì Aristotele, se non ricordo maie: “Il personaggio non è quello che dice, ma quello che fa”. Si riferiva al teatro, mia grande passione, come spettatrice ma anche come attrice dilettante. Fu alla fine di quell’incontro, quando solitamente decidevamo gli esercizi da fare, che Massimo mi propose di costruire un personaggio che avesse le caratteristiche del cambiamento che volevo raggiungere. Fu quella la svolta. Gli esercizi che fino a quel momento mi erano costati tanta fatica, divennero divertenti e entusiasmanti. Ricordo che non vedevo l’ora di avere del tempo libero per mettermi a scrivere del mio personaggio. Nelle sedute successive andammo a definire il canovaccio con meticolosa attenzione, usandolo anzitutto come spunto per l’analisi e poi, di volta in volta, Massimo mi incitava a fare lo sforzo di mettere in scena quanto era emerso, facendomi guidare da quel modello di riferimento. E da lì tutto è cambiato. Cambiando i miei modi, cambiava anche il mondo attorno a me, le reazioni degli altri, i miei stessi pensieri. Iniziai a volermi bene, a piacermi. Ho imparato ad osservarmi da fuori senza giudicarmi, ma prendendo spunto, come un'opera da migliorare, anziché  come un oggetto definito da giudicare, così ho iniziato a mettere in ordine ciò che non mi soddisfaceva.  

Milena Carrara

Cosa mi è successo? Ma semplicemente ho spostato lo sguardo e mi sono ritrovata. Sai quando ti dicono di avere un approccio creativo? Di vedere le cose da altre prospettive? Beh io non ci sono mai riuscita. Ho sempre vissuto seguendo il fil rouge della buona e saggia visione sociale. Fin da quando ero giovanissima ho archiviato le mie pulsioni, il mio energico entusiasmo, la mia fantasia inesauribile, la mia condotta sopra le righe e mi sono conformata. Un buon lavoro, un ottimo fidanzato che poi è diventato marito, amici cene, feste, weekend, casa in montagna, auto figa, vacanze da sogno, figli, famiglia top, un po quella del mulino bianco, mamma e lavoratrice impegnata... Insomma un grande successo, ma... Ero insoddisfatta, irritata, arrabbiata, stanca e non mi sentivo apprezzata! Mi mancava sempre qualcosa. Ne ho fatto una malattia, ero sempre alla ricerca del consenso che non era mai sufficiente per farmi stare bene. Dopo anni di vita vissuta per obiettivi e in anestesia (non mi ascoltavo, non mi sentivo)  Ci ha pensato la vita a scuotermi. Primo schiaffo la malattia! Secondo schiaffo l'abbandono e il crollo della famiglia perfetta! Con il primo nonostante fosse uno schiaffo fortissimo, ho risposto io ce la faccio sono come gli altri e sono riuscita a trascinarmi per un anno come se nulla fosse. Quando ci penso ora rabbrividisco! Ma qualcosa è iniziato a cambiare dentro di me. Dopo qualche tempo, il secondo schiaffo: il mio più importante progetto di vita va in frantumi. Sola e abbandonata non sapevo neanche se era giorno o notte! Ed è qui che qualcosa è scattato. Piano piano, giorno dopo giorno con battaglie  quotidiane tra me e me, estanuante. Massimo, l' ho incontrato quando ho capito che non ce l'avrei fatta da sola. Mi ha dato le chiavi per fare ordine, per decifrare cosa avevo dentro e passo dopo passo sono riuscita ad togliere le catene con cui io stessa mi ero imprigionata in un'esistenza infelice. Non penso di aver avuto tantissimo coraggio e non ho intrapreso scelte drastiche. La mia vita non è cambiata particolarmente. Forse ho iniziato semplicemente ad ascoltarmi, a vedermi di nuovo e sopratutto a non giudicarmi. Sono passata dal ripetermi costantemente 'io non ce la faccio' a 'io posso'. Ho iniziato a guardarmi allo specchio e trovare qualcosa di bello al posto di dirmi 'fai schifo'! Con una paura pazzesca ho iniziato a decidere per me, provando con piccole cose che via via sono diventate sempre più grandi. Non mi sento ancora così sicura, ma so che posso: posso scegliere a modo mio, posso vincere, posso cadere e posso rialzarmi. Posso essere Io! È se non piaccio, pazienza... Questa sono io!

Lucia Retore

Non è facile dire cosa mi è successo. A volte provo a descriverlo ad amici e conoscenti, ma mi rendo conto che rischio di sembrare un po’ pazza. Forse è così quando si parla di felicità, perché la felicità è sempre stata associata alla follia. Allora quando dici alle persone che credi di aver capito come essere felice, ti guardano un po’ strano. E infatti ho smesso di dirlo. Lo faccio: mi rendo felice. Oggi posso. Ma non è stato affatto facile. Cioè, è stato facile arrivarci… meno facile autorizzarmi ad esserlo. Massimo ha saputo farmi scivolare come su un tappeto morbido, con dolcezza e con un sorriso, spesso anche una risata. Avevo avuto altre esperienze terapeutiche, ma era tutto molto serioso. Con Massimo ho imparato che si può guarire ridendo, in qualche modo giocando. Poi a un certo punto è come se avvenisse un salto e ti ritrovi dall’altra parte dove vedi chiaramente la tua vecchia te e capisci tutte le sue inadeguatezze, gli errori che faceva, come si rendeva infelice. È in questo momento che inizia una specie di scontro, tra la vecchia te e quella nuova: una che tenta di tirarti indietro nei vecchi meccanismi, l’altra che lotta per quella felicità che ora riconosce. Questo è forse il momento più difficile, perché la tentazione di acquietarsi nei vecchi conosciuti meccanismi, rinunciando alla felicità, è tanta. “Hai passato 40anni così,” mi diceva Massimo “quella parte di te lotta per non farsi eliminare”. C’è voluto del tempo ma piano piano la vecchia me ha smesso di porre resistenza, esercizio dopo esercizio, più aumentava il mio senso di felicità e la mia forza, più venivano meno le incertezze. Ora credo di aver capito, come ogni volta Massimo mi ripeteva, cosa significa giocare con la vita. Certo non sempre è facile, ma ora ho le armi per combattere i momenti in cui le cose sembrano prendere il sopravvento e trasformali, “generare bellezza” direbbe Massimo.

Paolo Siura

Voglio iniziare ringraziandoti Massimo, anche se in questo compito era vietato nominarti, ma tu mi hai insegnato che l’arte è la capacità di apprendere le regole per poi trasgredirle e, come vedi, ho imparato bene, tanto bene che mi ha cambiato la vita. Sono un trasgressore delle felicità che non mi appartengono. Sono diventato un artista di me stesso e solo scriverlo non mi pare vero, io che avevo quasi paura di pronunciare il mio nome. Cos’è successo allora? Un esercizio dopo l’altro ho cominciato a vedere il mondo, sì perché prima non lo vedevo o vedevo il mondo che mi dicevano gli altri, fatto di felicità che non mi appartenevano, in cui venivo trascinato senza esserci veramente. Ho tirato fuori me stesso dal sacco in cui mi avevano chiuso le abitudini malate, le consuetudini, i cliché, i miti e le stupide convinzioni. Gli esercizi che mi hai fatto fare dovrebbero insegnarli a scuola, affinché le persone non facciano l’errore di inseguire felicità inutili che non portano da nessuna parte e spesso ci rendono infelici. Nessuno ci insegna ad essere felici e allora ci arrabattiamo seguendo le indicazioni dei genitori, della pubblicità (purtroppo), degli amici che vediamo felici e proviamo a imitarli… ma non è detto che in queste situazioni ci sia la nostra felicità. L’unico rammarico è di averlo capito un po’ tardi, molte cose non le avrei fatte o le avrei fatte diversamente.

Michela Cortesi

Sindrome ansiosa con attacchi di panico. 20 gocce di Lexotan tre volte al giorno, un ora di psichiatra al mese e 8 di terapia psicologica. Per anni. Ero stremata. E anche la diagnosi mi pareva errata. Non avevo episodi di attacchi di panico nella mia vita, ma episodi di vita durante il panico dilagato. E sintomi. Tanti, troppi e innumerevoli e, uno su tutti, non respiravo. Niente ascensori, tram, bus, metropolitana, treni o aerei. Avevo smesso anche di guidare. Sono arrivata così in terapia da lui. Ingessata, bloccata e incazzata. E fallita. A 46 anni. È passato un anno e mezzo da allora e... cosa è successo? Mi ha aiutato ad autorizzarmi a fare un giro su ciò che non sono mai stata... per paura, per pregiudizi, per strati di vita accumulati per convenzioni (si deve fare così, ma chi lo dice?), abitudini (ma nn è forse vero che abitudine batte abitudine?). Mi ha accompagnata a sviluppare un pensiero solo mio, scevro da costrutti e falsi miti, fino a raggiungere il nucleo del mio sentire, toccando fondi tra gioie e dolori, e poi finalmente partire da lì per imparare a pensare di avere le risorse per stare bene anche quando bene non ce n'è.  Stare comodi nello scomodo. Se ti irrigidisci, mi diceva, perdi la larghezza della vita. Le sue sedute condotte sempre con tecniche molto raffinate e delicate, mi hanno condotta verso lo stupore, come se io fossi un osservatore esterno che si studia e studia modi con l'unico fine di rimanere in un perenne stato di serenità. Una ricercatrice, una scienziata sempre attenta a provare metodi e strategie. Io dico sempre che con la sua terapia  ho raggiunto la capacità di restare stupita. La mia è una gioia non leggera. Ma è comunque  una gioia. Questa vita può essere una palestra, un gioco, un sogno dove io e solo io ho la possibilità di interpretare ciò che mi calza meglio attivando una specie di pilota automatico che si innesca nelle difficoltà con una sorta di risparmio energetico su tutto ciò che non mi è funzionale, imparando a non dare forza a ciò che la forza tende a togliermela. Ha numerosissimi spunti che attengono alla sfera dell'arte intesa come la capacità di fronteggiare problemi con soluzioni alternative alle convenzionali. Libri, film, citazioni filosofiche... Il suo paniere è ricco,  e cito paniere non a caso, senza preoccuparmi dell'etimologia della parola, mi rifaccio invece all'immagine che mi sovviene... pane caldo: umile, accogliente ma indispensabile e risolutore. Lui si occupa del Come non del Perché. Ti rimette al mondo e poi magari ti aiuta a capire il perché delle tue idiosincrasie. Ma in poche sedute riesce a metterti nelle condizioni di eliminare comportamenti invalidanti...e già questo è un successo. E non ti chiede forza, coraggio, lotte e battaglie... lo sa che arrivi già stremato in terapia e l ultima cosa che vuoi fare è combattere. Dopo tanti anni passati ad essere analizzata, scandagliata, maledetto genitori, parenti e affini... ho scelto lui dopo aver visto alcuni suoi video in internet e lo risceglierei altre mille volte. Lo considero un rivoluzionario della Cura.

Massimo Alicante

É successo tutto, è successo di tutto. Una svolta, una rottura, qualcosa che si è rotto ma non per fare male, ma per fare uscire un nucleo che si agitava dentro ma che si era incrostato di pensieri negativi, di sensi di colpa, di insicurezze. É accaduto molto lentamente, dolcemente, imparando, incontro dopo incontro, a giocare con le mie paure, le mie vergogne, il mio sentirmi inadeguato. Le prime volte che Massimo mi invitava a giocare (a fare arte di me) non capivo, ma mi sono lasciato guidare, mi sono affidato, e questa credo sia stata la mia fortuna. Ho accettato di giocare anziché combattere, di sorridere anziché digrignare i denti, così come, senza rendermene conto, avevo fatto per anni e anni.  Credo sia successo che ho imparato a giocare con la vita e le sue cose, a prendermi meno sul serio, a lasciare che le preoccupazioni non mi schiacciassero e allora ho iniziato a divertirmi e a diventare curioso delle cose che prima non vedevo e davo per scontato. Mi si è aperto un mondo. Ho imparato da Massimo che la vita, se impariamo a giocare, è sempre (sempre) meravigliosa e ci dona ogni cosa, qualsiasi cosa, anche le cose che non ci piacciono ma che ognuno di noi può rendere migliori.

Manuela Romagnoni

Ho rivestito per anni un ruolo molto importante nell’organizzazione in cui lavoravo. Per me era un motivo di grande soddisfazione, un traguardo che finalmente avevo raggiunto. Tutto bene, si direbbe. Ma… Il giorno del mio quarantanovesimo compleanno diedi una grande festa, come mai avevo fatto prima: invitai tutti i miei amici più cari, i miei parenti, i colleghi di lavoro, tutte le persone per me più importanti. Celebrai anche la professione che da vent’anni mi accompagnava: un lavoro che avevo scelto, in una realtà nella quale ho avuto modo di crescere fino a rivestire un ruolo apicale. Non ne ero ancora consapevole, ma io quella sera salutai una lunga fase di vita e mi congedai da quella che ero, prima della mia rivoluzione… Dopo aver incubato a lungo un malessere, del quale avevo avuto solo qualche avvisaglia ma senza minimamente comprendere cosa mi stesse accadendo, in quel mese di novembre del 2019 la mia vita professionale iniziò a sgretolarsi fino a invadere pesantemente la sfera personale e la mia salute, fisica e mentale. Iniziai a perdere la concentrazione, mi sentivo insicura, fragile e poco autorevole nei confronti dei miei collaboratori. Non capivo cosa stesse accadendo: la mia mente razionalizzava, continuavo a ripetermi che presto sarebbe passato tutto… ma il cuore mandava segnali sempre più evidenti di disallineamento con quello che invece avevo nella testa. Ho conosciuto Massimo anni fa, mi aveva già accompagnata in altre… rivoluzioni interiori. Anche questa volta, con delicatezza e saggezza, ha saputo muovere le leve giuste affinché, di fronte a quel forte disagio, potessi riprendere in mano la mia vita. Per mesi ho sofferto di fortissimi mal di schiena, di attacchi d’ansia e, talvolta, di panico. Ormai però avevo deciso di arrivare fino in fondo, senza farmi spaventare. Ricominciai a praticare meditazione assiduamente e con costanza, spesso interrotta dal pianto. Pregavo con tutte le mie forze che quella situazione si risolvesse: volevo sentire ancora passione e motivazione per il mio lavoro, volevo tornare a essere un riferimento per il mio team, volevo che mio marito e i miei figli mi vedessero nuovamente solida, serena e raggiante com’ero sempre stata… ma la verità era un’altra e finalmente emerse. Mi ostinavo a voler tornare a essere quella di prima, ma la situazione non si sbloccava… non arrivavano risposte. Con Massimo iniziai invece a pormi domande, tante domande… che avevano risposte sconvolgenti. La realtà nella quale avevo lavorato per tanto tempo e che avevo scelto quasi come fosse uno “stile di vita” era cambiata profondamente: non mi ritrovavo più nei suoi valori, nelle scelte che si facevano, nelle dinamiche interpersonali distorte… nulla sembrava più corrispondere alla mia indole e ai miei desideri più profondi. Un giorno la nebbia iniziò diradarsi: mi resi conto che in realtà il mio desiderio più profondo non era tornare a essere quella di prima ma era quello di cambiare, evolvere… compiere una vera e propria rivoluzione personale e professionale. Durante l’estate del 2020 maturai la decisione più difficile della mia vita: lasciare il mio lavoro, a cinquant’anni, con un mutuo da pagare e due figli adolescenti. Per quasi due mesi ho vissuto come se fossi convalescente, una malata grave in via di guarigione. Dopo un tempo che sembrava infinito ho potuto finalmente annoiarmi… leggere, camminare per ore, osservare il mondo in silenzio, riposare. Veri e propri “lussi” che per troppo tempo non mi ero concessa. Al rientro dalla mia lunga pausa estiva ho iniziato a riprendere in mano la mia vita. Dovevo restare “centrata”, focalizzandomi su come gestire al meglio questa scelta. Avevo bisogno di assicurarmi il massimo delle tutele: ero però molto determinata e così è stato. Ero ormai entrata “nel flusso delle cose”, in sintonia con l’esistenza, direi. Mi colpì molto una frase di Massimo, continuava a tornare, come fosse un mantra: “è per rinascere che siamo nati”. Quanta verità in queste poche e apparentemente semplici parole… Il licenziamento ha liberato nuove energie e mi ha restituito l’entusiasmo che avevo perso. Mi sono aperta completamente, verso gli altri e verso nuove opportunità. La pratica quotidiana mi ha supportata nel comprendere quale fosse realmente il mio percorso ed è così che ho maturato l’idea di realizzare un mio progetto imprenditoriale. Mi sono rimessa a studiare per mesi, ho scritto cose, buttato giù idee. Ho vinto due bandi con due progetti diversi e sono partita per un nuovo viaggio. Quello che è accaduto, come conseguenza di questa scelta, è che si, sono rinata. Mi sono letteralmente ripresa in mano la vita, i miei affetti, le mie necessità, i miei sogni. Ricordo quando, durante un nostro incontro all’insegna delle lacrime e della disperazione, Massimo mi diede come compito quello di scrivere 151 desideri. Lo guardai basita, non sapevo da che parte cominciare… Beh, di quella lunga lista, da allora, ne ho depennati tantissimi, sostituendoli con altri ancora. Ad oggi, la mia vita sembra proprio essere un susseguirsi di desideri realizzati. E come dice il mio maestro buddista… "i desideri sono illuminazione. E l’illuminazione è la chiave per la felicità. Qualunque fiore tu sia, quando verrà il tuo tempo, sboccerai. Prima di allora una lunga e fredda notte potrà passare. Anche dai sogni della notte trarrai forza e nutrimento. Perciò sii paziente verso quanto ti accade e curati e amati senza paragonarti o voler essere un altro fiore, perché non esiste fiore migliore di quello che si apre nella pienezza di ciò che è. E quando ciò accadrà, potrai scoprire che andavi sognando di essere un fiore che aveva da fiorire.“ (D. Ikeda)

Marina Pilotta

Quando all’inizio del mio percorso Massimo mi ha detto che a un certo punto avrei dovuto scrivere una lettera su quello che sarebbe successo, non ho capito precisamente cosa intendesse. Stavo male e volevo stare bene, non mi interessava altro. Così, oggi, a distanza di così poco tempo, mentre scrivo la famosa lettera, quasi non ci posso credere. È successa una vera rivoluzione dentro di me e ho aperto gli occhi su un mondo nuovo che c’era ma non vedevo.  Mi sono chiesta per quale diavolo di motivo ho dovuto aspettare cinquant’anni per capire e un po’ mi sono maledetta per non averlo fatto prima (i vecchi meccanismi ogni tanto ritornano ma ora ho imparato a cacciarli, a trasformali). Sono rinata, la sensazione è questa: una nuova me che si è partorita da sola e ora vede gli ostacoli in cui inciampava e, come dice Massimo, ho imparato a trasformare le cadute in opportunità, tanto che non fanno più paura. Ed è davvero una liberazione stare in questa leggerezza, dove ogni risveglio è un regalo e non sentire più il peso del giudizio e soprattutto del pregiudizio che riservavo a troppi dei miei comportamenti. A volte sono così sorpresa che quasi non mi riconosco e mi piace meravigliarmi di questa nuova me che fa cose che non avrei mai pensato di fare. Ho imparato a fare “arte di me”, cito sempre Massimo (P.S. lo so che in questa lettera non avrei dovuto nominarti, ma ho bisogno di ringraziarti pubblicamente) e a giocare, sì “giocare” con le cose belle e brutte della mia vita.

Antonella Zella

Cosa è successo in questo percorso che personalmente sento di chiamare “il mio viaggio “ credo di essermi scoperta come “una nuova me”,  tutto è avvenuto in modo progressivo, mi è stato dato un metodo, ho cercato di fare agire la mia volontà alla ricerca di ali per volare , quelle per cui avevo deciso di bussare alla porta di Massimo per chiedere aiuto . Credo di essere una persona che ha sempre ricercato un modo per essere felice e cercare di rimanere dentro questa bella sensazione.  Durante questo viaggio mi è stata data la possibilità di avere la chiave per aprire una porta da troppo tempo chiusa, e forse in cambio ho ricevuto nuove lenti per vedere quello che non riuscivo a vedere. Grazie anche  all’utilizzo di una  forma di arte, nello specifico la scrittura e la poesia, sono venuta allo scoperto, ho visto e sentito che dentro di me c’era una nuova Antonella che aveva desideri e sogni, che aveva bisogno di emergere. Tutto questo l’ho vissuto quasi come fosse un gioco, mi è stata data la possibilità di uscire dalla “zona confort”, che credo sia la tomba della nostra libertà. A piccoli passi ho abbandonato le mie vecchie vesti, quelle che sapevano di antico e probabilmente alcune di queste giunte per eredità. In un certo senso, ho scoperto le donne che abitano dentro di me, e le ho messe nero su bianco, le ho rese protagoniste di un vissuto, le ho anche amate , e rianimate, sono diventata un‘osservatore delle mie storie, come dentro ad un film, dove chi guarda non giudica, ma impara ad osservare. Una mattina ricordo benissimo di essermi svegliata e aver sentito la bellezza dell’aria di primavera che veniva da dentro, ho capito che quella era la felicità che cercavo e che forse stava solo dormendo dentro di me .

Patrizia Genovesi

Cosa è successo? Non è facile rispondere a questa domanda perché le cose sono tante e ci vorrebbe più di un libro per elencarle tutte. Forse quel che conta è che è successo. Ricordo una volta durante una seduta che Massimo mi ha detto: “ci sei anziché non esserci, e questo cambia tutto. Ti obbliga a fartene qualcosa”. Ecco, a un certo punto, non saprei dire come, è successo che ho cominciato a “farmene qualcosa”, a non vivere più passivamente. Ho fatto tanti anni di terapia, ma questo percorso mi ha cambiato la veramente, perché non ha cercato di spiegarmi, ma mi ha obbligato a fare e più facevo, più diventavo capace di fare e mi sorprendevano tutte le cose che erano nel mio bagagliaio e non avevo mai usato o avevo sepolte. Ho capito che so trasformare il mondo a immagine del mio benessere e non credevo fosse possibile. Quel che è successo è successo fin dal primo incontro: un modo di parlare e di dire le cose che mi è entrato dentro e fare, fare, “obbligarmi” a fare. Gli strani esercizi da fare a casa hanno fatto davvero la differenza, obbligandomi a uscire dalla passività. E poi il quaderno su cui Massimo mi invitava a scrivere le cose che mi colpivano, come la frase che mi disse quando gli avevo chiesto se mi poteva dire quello che avevo, di dare un nome al mio malessere: “Non ci frega niente di nominare quello che hai o non hai, le cose non devono cambiare in questo studio. Devono cambiare lì fuori, nella tua vita. Per questo non sono io che devo capire te, ma sei tu che ti devi capire. Però se proprio non ne puoi fare a meno, inventa un nome per quello che hai, ma deve essere un nome che non hai mai sentito”. Ogni tanto vado a rileggere il quaderno con questo passaggio e vedo chiaramente le cose che piano piano a partire da lì hanno preso un senso. Ho inventato un nome al mio malessere, l’ho adottato e forse è questo il passaggio che è avvenuto, perché poi le cose hanno preso un senso, ma soprattutto ho imparato a dare io un senso alle cose, a tutte le cose, anche quelle che un senso non lo avevano. È questa, come mi ha insegnato Massimo, è la potenza dell’arte.

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